martedì 15 ottobre 2013

Un allievo da...7

Ci sono personaggi che hanno saputo interpretare meglio di altri lo spirito del tempo in cui sono vissuti e, grazie al loro modo di essere unico e irripetibile, addirittura precorrere ciò che sarebbe stato in futuro. E' il caso di un giovane comasco, estroso ed estroverso tanto sul lavoro quanto nella vita, ma professionale come pochissimi altri. Era uno di quelli che, ad averli in classe, oggi, sarebbe stato etichettato come "caratteriale": capace di arrivare con precisione quasi cronometrica all'inizio delle lezioni, ma con un abbigliamento tutto suo, che avrebbe fatto storcere il naso a più di un professore, malgrado non avesse nè un quaderno nè una nota di demerito. In un'epoca in cui andavano di moda capelli corti e giacca e cravatta, andava in giro con una zazzera lunga che anticipava il mitico '68, l'anno della rivolta, e abiti disegnati da uno stilista sconosciuto: se medesimo. 

Dotato di una capacità di lavoro immensa, pari forse allo stesso senso della disciplina, dal momento che, se gli si diceva di fare qualcosa inerente alla professione, non solo la eseguiva senza discutere, ma la faceva pure assai bene, mettendoci molto di suo. E siccome "madre natura" non gli aveva solo dato una gran faccia tosta, ma anche pari talento, era uno dei migliori in tutto il mondo. Fermo ma educato e rispettoso anche quando difendeva i principi in cui credeva, uno su tutti: "fuori dal campo faccio ciò che mi pare", ma senza mai essere arrogante o spocchioso malgrado i numeri fossero dalla sua. Per questo i suoi compagni e i suoi colleghi lo adoravano e lo rispettavano e ancora oggi, quando ne parlano, ad alcuni si illuminano gli occhi di lacrime velate.

Amava la vita in tutte le sue forme, senza se e senza ma e la viveva senza paura, tanto nel lavoro quanto nel privato. Se fosse vissuto oggi, i giornali di gossip sarebbero impazziti perchè, dopo una fiammata iniziale per l'inizio della relazione, semi-adultera, con una donna già sposata, i due erano quasi scomparsi dai radar della mondanità, malgrado vivessero insieme senza un legame certificato dalla legge, che per l'Italia bacchettona dei primi anni '60 era un oltraggio pazzesco.

Amava la vita e l'aveva vissuta conoscendo grandi gioie e pari amarezze, ma sempre con grande senso di responsabilità, alieno dalle mode del tempo e allergico a quei comportamenti che fanno dei piccoli calciatori di oggi, dei grandi fenomeni mediatici.  

Era un allievo da 10 in campo e da 5 (o 4 per i colleghi più severi) fuori dal terreno di gioco. Mi piace pensare che nel quarantaseiesimo anniversario della sua scomparsa, Gigi Meroni possa essere ancora oggi un esempio per i tanti giovani insofferenti alle regole, ma attenti alla praticità del vivere sano e del rispetto altrui.

lunedì 14 ottobre 2013

Voler bene...ai giovani

Voglio spezzare una lancia in favore dei "metodi di una volta". Stando "dall'altro lato della cattedra", mi sono ritrovato a toccare con mano non solo la differenza di prospettiva e la condivisione nel "farsi il mazzo" (chi crede che i docenti lavorino meno degli allievi solo perchè in aula scrivono di meno non ha capito nulla del mestiere), ma anche a capire che certi metodi hanno un loro motivo ben radicato.

Un maestro di formazione giovanile, con tanto di palmares carico di successi sul campo, a proposito dei ragazzi difficili di cui Balotelli e Cassano (o la Pellegrini e
la Pennetta) sono un esempio "luminoso" ha detto: "Avete mai provato a voler bene veramente a quei ragazzi ? Farlo significa insegnargli l'educazione, fargli capire che oggi si deve fare più di ieri e domani più di oggi. I ragazzi sono dei vuoti a perdere che bisogna rifornire continuamente, ma i grandi talenti si riempiono da soli, noi dobbiamo stare attenti a non disturbare questo loro processo".

Per questo credo proprio che la prossima volta che troverò qualcuno che scrive qual è nel modo sbagliato, lo dovrà fare un certo numero di volte nel modo giusto. In fin dei conti anche per fare il "Beatle" ci vuole allenamento. Da sola la passione non basta.


venerdì 11 ottobre 2013

Tanti Rachid, pochi...Davide.

Ha destato parecchio scalpore la vicenda del giovane marocchino laureatosi in ingegneria a Torino malgrado l'attività da "vu cumprà" a cui è tornato (per ora). Qualcuno può essersi stupito di un simile risultato, molti l'hanno guardato con un misto di sarcasmo, nel migliore dei casi condito da ironia ("è un titolo sudato"), pochi purtroppo con ammirazione. Chi frequenta il mondo della formazione professionale (e non solo) sa bene però che i Rachid (i Dragos, gli Abdul, i Carlos per citare i nomi dei popoli più rappresentati) quelle aule sono piene e in Italia sono tanti ma non tutti possono permettersi di passare il proprio tempo a scuola, anche in quelle serali. A mancare, purtroppo, sono gli "indigeni"...i Marco, i Davide, le Simona e le Sara. 

Da quando insegno, posso infatti confermare che, fra i primi dieci migliori allievi che abbia mai avuto, sul podio ci sono solo studenti stranieri e che il primo fra gli italiani si colloca nella seconda metà bassa della decina, a fronte di un campione complessivo di almeno cinquecento persone. E non mi riferisco solo al rispetto della puntualità, del decoro, del linguaggio, ma anche e soprattutto delle capacità pratiche, dell'umiltà e della voglia di imparare. Virtù ormai poco frequentate dai ragazzi "nostrani". 

Questione di motivazione ? Anche ma non solo, è una questione culturale. Qualcuno potrebbe obiettare che quando si fugge da una guerra, dalla fame e il rischio di essere rispediti nell'inferno da cui si è sfuggiti è grande, si scoprono energie sconosciute. Non basta però per rimanere attenti e concentrati anche nei corridoi. La motivazione è basilare, ma non è sufficiente. Lungi dal volere dare ragione a chi sostiene che gli italiani siano "poco occupabili", preferisco pensare a quanto sia vero ciò che ha scritto Michele Serra tempo fa e che si tocca con mano sempre più spesso. 

Il dito sulla piaga l'ha messo, infatti, un allievo rumeno che ha detto a muso duro, in una classe a maggioranza italiana ma di aspiranti elettricisti: "Non avete più voglia di sporcarvi le mani, avete solo voglia di fare festa". E subito dopo un altro allievo italiano, pluri-ripetente, che fino a quel momento aveva chiacchierato con il vicino malgrado richiami e domande (ovviamente) senza risposte, nonostante mancassero cinque minuti alla fine si volta e fa: "Prof, posso andare in bagno ?"...