mercoledì 26 marzo 2014

LEZIONE 2.0: le espressioni gergali più diffuse

Si tratta di un esperimento di lezione multimediale con una classe con cui ho cominciato a lavorare da poco. Esperimento nel senso che non ho mai provato prima quanto si sta per fare, ed è un'ottima occasione per "rianimare" questo blog, entrato in letargo con l'inizio dell'anno scolastico.

A voi ragazzi chiedo di postare, indicando il vostro nome di battesimo, cosa significano, secondo voi, le diverse espressioni riportate qui sotto. Secondo questo schema:
1. Spaccare
Tommy dovrà scrivere: Tommy 1. Rompere

Le altre espressioni sono:

1. Spaccare il secondo.

2. Spaccare il capello in quattro.

3. Spaccare (N.B. indicare due significati, quello letterale e quello gergale)

4. Andare con il cappello in mano.

5. A babbo morto.

6. Abbassare la cresta.

7. A bocce ferme.

8. A botta calda.

9. A braccio.

10. "A casa mia".

11. A colpo sicuro.

12. Acqua cheta.

13. Acqua in bocca.

14. A denti stretti.

15. Ad ogni morte di Papa.

16. A doppio taglio

17. A fior di pelle.

18. A freddo.

19. A caldo.

20. A frotte.

21. A muzzo.

22. A sentimento.

23. A rigor di logica.

24. Abbassare le penne.

25. Cioccare.

Altre espressioni gergali potete trovarle qui: http://guadagni.blogautore.espresso.repubblica.it/tag/cioccare/

martedì 15 ottobre 2013

Un allievo da...7

Ci sono personaggi che hanno saputo interpretare meglio di altri lo spirito del tempo in cui sono vissuti e, grazie al loro modo di essere unico e irripetibile, addirittura precorrere ciò che sarebbe stato in futuro. E' il caso di un giovane comasco, estroso ed estroverso tanto sul lavoro quanto nella vita, ma professionale come pochissimi altri. Era uno di quelli che, ad averli in classe, oggi, sarebbe stato etichettato come "caratteriale": capace di arrivare con precisione quasi cronometrica all'inizio delle lezioni, ma con un abbigliamento tutto suo, che avrebbe fatto storcere il naso a più di un professore, malgrado non avesse nè un quaderno nè una nota di demerito. In un'epoca in cui andavano di moda capelli corti e giacca e cravatta, andava in giro con una zazzera lunga che anticipava il mitico '68, l'anno della rivolta, e abiti disegnati da uno stilista sconosciuto: se medesimo. 

Dotato di una capacità di lavoro immensa, pari forse allo stesso senso della disciplina, dal momento che, se gli si diceva di fare qualcosa inerente alla professione, non solo la eseguiva senza discutere, ma la faceva pure assai bene, mettendoci molto di suo. E siccome "madre natura" non gli aveva solo dato una gran faccia tosta, ma anche pari talento, era uno dei migliori in tutto il mondo. Fermo ma educato e rispettoso anche quando difendeva i principi in cui credeva, uno su tutti: "fuori dal campo faccio ciò che mi pare", ma senza mai essere arrogante o spocchioso malgrado i numeri fossero dalla sua. Per questo i suoi compagni e i suoi colleghi lo adoravano e lo rispettavano e ancora oggi, quando ne parlano, ad alcuni si illuminano gli occhi di lacrime velate.

Amava la vita in tutte le sue forme, senza se e senza ma e la viveva senza paura, tanto nel lavoro quanto nel privato. Se fosse vissuto oggi, i giornali di gossip sarebbero impazziti perchè, dopo una fiammata iniziale per l'inizio della relazione, semi-adultera, con una donna già sposata, i due erano quasi scomparsi dai radar della mondanità, malgrado vivessero insieme senza un legame certificato dalla legge, che per l'Italia bacchettona dei primi anni '60 era un oltraggio pazzesco.

Amava la vita e l'aveva vissuta conoscendo grandi gioie e pari amarezze, ma sempre con grande senso di responsabilità, alieno dalle mode del tempo e allergico a quei comportamenti che fanno dei piccoli calciatori di oggi, dei grandi fenomeni mediatici.  

Era un allievo da 10 in campo e da 5 (o 4 per i colleghi più severi) fuori dal terreno di gioco. Mi piace pensare che nel quarantaseiesimo anniversario della sua scomparsa, Gigi Meroni possa essere ancora oggi un esempio per i tanti giovani insofferenti alle regole, ma attenti alla praticità del vivere sano e del rispetto altrui.

lunedì 14 ottobre 2013

Voler bene...ai giovani

Voglio spezzare una lancia in favore dei "metodi di una volta". Stando "dall'altro lato della cattedra", mi sono ritrovato a toccare con mano non solo la differenza di prospettiva e la condivisione nel "farsi il mazzo" (chi crede che i docenti lavorino meno degli allievi solo perchè in aula scrivono di meno non ha capito nulla del mestiere), ma anche a capire che certi metodi hanno un loro motivo ben radicato.

Un maestro di formazione giovanile, con tanto di palmares carico di successi sul campo, a proposito dei ragazzi difficili di cui Balotelli e Cassano (o la Pellegrini e
la Pennetta) sono un esempio "luminoso" ha detto: "Avete mai provato a voler bene veramente a quei ragazzi ? Farlo significa insegnargli l'educazione, fargli capire che oggi si deve fare più di ieri e domani più di oggi. I ragazzi sono dei vuoti a perdere che bisogna rifornire continuamente, ma i grandi talenti si riempiono da soli, noi dobbiamo stare attenti a non disturbare questo loro processo".

Per questo credo proprio che la prossima volta che troverò qualcuno che scrive qual è nel modo sbagliato, lo dovrà fare un certo numero di volte nel modo giusto. In fin dei conti anche per fare il "Beatle" ci vuole allenamento. Da sola la passione non basta.


venerdì 11 ottobre 2013

Tanti Rachid, pochi...Davide.

Ha destato parecchio scalpore la vicenda del giovane marocchino laureatosi in ingegneria a Torino malgrado l'attività da "vu cumprà" a cui è tornato (per ora). Qualcuno può essersi stupito di un simile risultato, molti l'hanno guardato con un misto di sarcasmo, nel migliore dei casi condito da ironia ("è un titolo sudato"), pochi purtroppo con ammirazione. Chi frequenta il mondo della formazione professionale (e non solo) sa bene però che i Rachid (i Dragos, gli Abdul, i Carlos per citare i nomi dei popoli più rappresentati) quelle aule sono piene e in Italia sono tanti ma non tutti possono permettersi di passare il proprio tempo a scuola, anche in quelle serali. A mancare, purtroppo, sono gli "indigeni"...i Marco, i Davide, le Simona e le Sara. 

Da quando insegno, posso infatti confermare che, fra i primi dieci migliori allievi che abbia mai avuto, sul podio ci sono solo studenti stranieri e che il primo fra gli italiani si colloca nella seconda metà bassa della decina, a fronte di un campione complessivo di almeno cinquecento persone. E non mi riferisco solo al rispetto della puntualità, del decoro, del linguaggio, ma anche e soprattutto delle capacità pratiche, dell'umiltà e della voglia di imparare. Virtù ormai poco frequentate dai ragazzi "nostrani". 

Questione di motivazione ? Anche ma non solo, è una questione culturale. Qualcuno potrebbe obiettare che quando si fugge da una guerra, dalla fame e il rischio di essere rispediti nell'inferno da cui si è sfuggiti è grande, si scoprono energie sconosciute. Non basta però per rimanere attenti e concentrati anche nei corridoi. La motivazione è basilare, ma non è sufficiente. Lungi dal volere dare ragione a chi sostiene che gli italiani siano "poco occupabili", preferisco pensare a quanto sia vero ciò che ha scritto Michele Serra tempo fa e che si tocca con mano sempre più spesso. 

Il dito sulla piaga l'ha messo, infatti, un allievo rumeno che ha detto a muso duro, in una classe a maggioranza italiana ma di aspiranti elettricisti: "Non avete più voglia di sporcarvi le mani, avete solo voglia di fare festa". E subito dopo un altro allievo italiano, pluri-ripetente, che fino a quel momento aveva chiacchierato con il vicino malgrado richiami e domande (ovviamente) senza risposte, nonostante mancassero cinque minuti alla fine si volta e fa: "Prof, posso andare in bagno ?"... 

venerdì 20 settembre 2013

A volte ritornano...

Siano contratti, colleghi, alunni, edifici, corridoi, aule con i loro odori, rumori, le loro immancabili crepe e la burocrazia, i ritorni a scuola regalano sempre emozioni a qualunque età. Vale per gli allievi, per gli insegnanti, per i dirigenti scolastici ma anche per i genitori che vengono ad accompagnare per la prima volta la figliolanza e per i nonni, le baby sitter e i fratelli che la vengono a recuperare alla fine, ripensando a quando è toccato a loro.

Fra i tanti ritorni ci sono anche quelli dell'imprevisto quotidiano. Come nel caso di un libro dato in prestito, l'anno scorso, a un allievo che non l'aveva più restituito adducendo le scuse più sincere (l'ho dimenticato) e improbabili ("l'ho dato da leggere a mia madre, che poi l'ha passato a un'amica che poi ha fatto il trasloco perchè si è separata ed è andata a stare in un'altra città). Per poi, una volta superato l'inevitabile cazziatone, mettere su uno sguardo di sottecchi traducibile in un "à bello! fai prima a salutarlo e a dimenticarlo". Peccato che non ci sia niente di peggio del cominciare una nuova avventura scolastica con addosso l'amarezza della fiducia tradita da qualcuno in cui l'avevi riposta. E pensare di doverci lavorare insieme per tutto l'anno in maniera obiettiva non è il massimo.

A volte però ritornano....Se è vero come dicono negli U.S.A, che "la vita è un grande supermercato dove alla fine paghi tutto nel male come nel bene", capita anche che a ritornare siano pure le belle sorprese. Ed ecco allora che dopo aver firmato il preliminare del nuovo contratto il vice-direttore tira fuori dal cassetto anche il volume scomparso e poi riapparso il primo giorno di scuola...come da ultima promessa dell'allievo. L'anno allora ricomincia con nuove e belle speranze.

(SE QUALCUNO VUOLE INDOVINARE IL TITOLO DEL LIBRO...AVRA' UNA SORPRESA:)      

venerdì 7 giugno 2013

Minkia prof: "Si può fare" davvero.

"Si può fare" è il detto perfetto di questa settimana che è stata la più letale dell'anno per i ragazzi e per i docenti. Ultime verifiche, ultime interrogazioni, ultime "sorprese" e poi spazio ai bilanci detti anche scrutini. Non solo per gli allievi ma anche per i docenti che, in alcuni casi, vengono valutati anche su cosa sono riusciti a far apprendere al gruppo classe da settembre.

Riavvolgendo con la memoria e i documenti il nastro dell'anno si parte dall'inizio, dal sogno...dal film "Si può fare" con Claudio Bisio. Una pellicola che avrebbe meritato sorte ben diversa anche in prospettiva internazionale perchè ovunque la si proietti (aula scolastica o aziendale) il risultato non cambia: piace, commuove e fa riflettere.
L'ho scelta perchè contiene un duplice messaggio: di denuncia e di speranza. La denuncia è quella della situazione di certe patologie che vengono abolite per decreto legge ma continuano a esistere, la speranza è quella data da tutti i protagonisti con la vittoria sui loro limiti individuali e di gruppo. 

E i ragazzi sono stati eccezionali nel saper cogliere le sfumature più sottili e diverse di una pellicola in cui tutti gli attori si rivelano dei veri e propri "mostri" di bravura. A tutti gli allievi ho chiesto di descrivere la scena che li ha più colpiti e di spiegare perchè, oltre a indicare cosa gli è piaciuto o non piaciuto del film.

LA SCENA: "Matti creativi"
La creatività dei matti, la reazione al dolore, il discorso carismatico. Sono queste le tre scene più gettonate nei racconti dei ragazzi.

La nascita del mosaico:
"Mi ha colpito vedere come queste persone disabili hanno reagito quando si sono trovati in difficoltà perchè son finiti i pezzi per fare il parquet eppure loro con gli scarti sono riusciti a "creare un'arte" per finire tutto il lavoro", scrive Paolo. (i nomi dei ragazzi sono di fantasia)
"E' stato bello vedere la reazione del committente al parquet spettacolare fatto con gli scarti" (Giacomo). 

Quella del suicidio di Gigio:
"Tanto talento sprecato per colpa di una ragazza superficiale" (Ricardo). "Eppure l'amore fa tanto male a volte" (Dragos). 

Quella del discorso finale del presidente della cooperativa.
"Mi ha colpito perchè ai nuovi arrivati ha fatto un discorso muto ma molto profondo e molto intenso, come se con lo sguardo dicesse a tutti: "ce la farete pure voi, in fin dei conti siete liberi". (Natan)

IL MESSAGGIO: "Siamo tutti uguali"
"Questo film mi è piaciuto perchè è basato su una storia vera e perchè ci sono ancora persone che credono in altre malgrado i loro problemi". (Giovanna). 
"Questo film, secondo me, è molto interessante perché affascina chi lo guarda, ti fa affezionare ai protagonisti tanto da rimanerci male se non ottengono buoni risultati o muoiono. E' fatto molto bene perché descrive un sogno e una speranza, descrive come essendo uniti tutto "SI PU0’ FARE", inoltre non è difficile da seguire e non è pesante pur essendo molto serio. Secondo me è un bellissimo film" (Matteo).
"A me è piaciuto molto perché mi ha fatto capire che anche le persone diversamente abili sono in grado di fare qualcosa se si impegnano e dimostrano anche che non sono stupidi in tutto" (Dumitru).

"Mi ha colpito molto, perché ci apre le porte di una realtà per molti sconosciuta ma che ancora oggi esiste, una realtà di persone diversamente abili che, secondo un mio pensiero, sono migliori di moltissime persone “normali” che valgono meno di zero. Queste persone hanno grande cuore ed e molto bello vedere in ognuno di loro il modo in cui riescono ad esprimere le loro emozioni". (Roberto)

"Questo film mi ha fatto conoscere un mondo sconosciuto, che pensavo tristissimo e oscuro. Grazie a questa opera invece si è rivelato molto diverso. È stato divertente assistere a tutte le vicende di queste persone. Ben venga e spero ce ne siano ancora di film che rappresentano questo tipo di realtà". (Ornella)

"Mi è piaciuto perchè dice che siamo tutti capaci di fare quello che vogliamo mettendoci il cuore e la voglia di fare". (Ileana)

lunedì 27 maggio 2013

Dalla...telecamera:"Chi insegna è un sognatore incallito".

Al Salone del libro della settimana scorsa è capitato, anche, di essere intervistati e di dover spiegare il perchè è nato questo blog. Fa un certo effetto passare "dall'altro lato" del microfono, ma è comunque sempre una bella occasione di crescita e di confronto. Tuttavia lungi dal voler eccedere in narcisismo, in seguito all'incontro avuto poi con altri amici e colleghi, posto qui, in modo autonomo e distaccato dal contesto di un post precedente, quali sono le motivazioni per cui mi sono messo online.


“Minkia prof !” è l’esclamazione più tipica e ricorrente nel mondo giovanile di oggi, almeno quello collegato alla scuola e si può considerare ormai l'equivalente di esclamazioni passate come "oh santa pazienza !", "ma che cavolo !", "miseria !". Quindi non c'entra nulla l'espressione usata, ben prima di me, dalla brava Luciana Littizzetto o da Giorgio Faletti. 

Sono arrivato tardi, anagraficamente, al mondo della formazione e il fuoco mi si è acceso per gradi. In origine era un modo come un altro per sbarcare il lunario, assecondando il progetto di vita di contribuire a valorizzare le risorse della terra natìa. Con la differenza che queste teste e questi cuori non sono aziende, ma piccole meraviglie che si stanno aprendo alla vita.

Loro sono l’oro in potenza. L’elemento esaltante di questa sfida è qui: aver di fronte dei blocchi di diamante, (che in alcuni casi al confronto è burro), da scolpire ogni giorno con pazienza, passione, fiducia e anche un po’ di divertimento, per assecondare quell’imperativo morale che mi impone di non peggiorare quanto ho trovato al mio arrivo in questo mondo e, se possibile, migliorarlo.

Un’avventura difficile e per questo stimolante. Dice bene un collega: “se riesci a bucare certe corazze, gli entri nell’anima e gliela cambi”. Ci sono momenti in cui ti arrivano delle vere e proprie sberle, (come quando qualcuno dei migliori afferma che non serve a nulla frequentare quel corso), ma è anche vero che se si lavora con passione e fantasia i primi a ricompensarti sono i ragazzi. 

In teoria chi fa l’insegnante difficilmente lo fa per denaro, ma perché è un sognatore incallito, un innamorato della vita che non teme i rifiuti e gli schiaffi, anzi, da essi trae lo spunto per non sedersi mai e per continuare a migliorare nel fare il proprio lavoro. L’apprendimento non ha mai una sola sorgente, così come in classe non bisogna mai considerarsi l’unica e sola fonte. La più autorevole sì e in mancanza di quello la più autoritaria. Ma guai a non cogliere i segnali che arrivano da loro, anche sotto forma di provocazione. Si rischia di fare la fine dei sommergibili senza sonar: senza eco si va prima alla deriva e poi a sbattere di sicuro.

La benzina vera per andare avanti arriva dai ragazzi, dalle loro provocazioni, dai loro discorsi, giusti o sbagliati che siano, dalla necessità che hanno di vedere codificate e applicate le regole in modo equo e senza favoritismi. “Duro ma giusto”, simpatico ma non amico. A questi precetti mi sono ispirato e mi ispiro tutt’oggi. Loro non vogliono amici più grandi, secondi padri, fratelli maggiori, guru inarrivabili, ma persone vere, credibili, con cui confrontarsi che sappiano dare rispetto, ascolto, conoscenza. E che all’occorrenza sappiano punire. A patto che la cosa sia giusta e mirata. Non casuale.